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DAI CONCORSI DOCENTI PIÙ GIOVANI? RIFLESSIONI SUI DATI DIFFUSI DAL MIUR

 

 

La questione dell’età media degli insegnanti italiani, fra le più alte del mondo, alimenta un’infinita spirale in cui si inseguono argomentazioni tutte egualmente plausibili e meritevoli di considerazione: quale valore può avere l’esperienza, acquisita con l’anzianità di lavoro, e quale la vivacità intellettuale e fisica, propria dei più giovani? Buon senso vorrebbe che si evitassero scelte di campo estremizzate: è vero che non basta l’esperienza a fare la qualità del lavoro, ma è altrettanto vero che freschezza di idee, energia intellettuale e profondità di cultura sono doti non necessariamente appannaggio solo dei più giovani. Forse una delle poche lezioni che la politica può impartirci, di questi tempi, è proprio questa.

L’approdo quasi scontato della discussione, parlando di età degli insegnanti, sono quasi sempre le procedure di reclutamento, per molti l'occasione per sottolineare gli effetti nefasti della mancata indizione di concorsi ordinari. Viene nel frattempo by-passato con disinvoltura un fattore che pure incide in modo incontestabile sull’elevazione dell’età media: i ripetuti interventi di innalzamento dell’ età pensionabile, che difficilmente avrebbero potuto produrre un ringiovanimento della forza lavoro. Vale per ogni settore lavorativo, scuola compresa. Così come sarebbe assai poco probabile, per la scuola, non risentire di quanto accade in termini generali ad un Paese che vede superata, per la disoccupazione giovanile, la soglia del 40%.

Lo squilibrio fra domanda e offerta di lavoro è il dato drammatico, anche nella scuola, che esaspera ogni problema e complica ogni ricerca di soluzione. Per questo era importante che si ponesse fine ad una politica di riduzione degli organici, destinata ad aggravare una situazione già critica, così come è fondamentale sostenere politiche di stabilizzazione del lavoro, del lavoro necessario, quello che comunque serve e che non ha alcun senso continuare a mantenere in forme di ingiustificata precarietà. È peraltro evidente che lo stesso dato dell’età media degli insegnanti potrebbe scendere, se nel calcolo si tenesse conto anche del personale oggi operante con contratto a tempo determinato, e non solo dei docenti di ruolo.

Andrebbe in ogni caso evitato, per non esasperare tensioni e conflittualità già molto diffuse, il rischio di fornire alimento al costituirsi di categorie tendenzialmente contrapposte (giovani contro anziani, precari storici contro neolaureati, e via discorrendo), rendendo ancor più ardua la già difficile gestione di situazioni che richiedono una buona dose di equilibrio, oltre che di lungimiranza.

I dati che il MIUR ha diffuso sugli esiti della recente tornata concorsuale  qualche luogo comune, in fondo, lo smentiscono. Soprattutto quello di chi considera le graduatorie a esaurimento un ricettacolo di incapaci, mandati avanti per mera anzianità, responsabili di abbassare il livello di qualità della classe docente. Le cose evidentemente non stanno così, se provengono dalle GAE ben 5.733 vincitori di concorso su 8.303 (69,04%). Ai quali vanno aggiunti anche gli oltre 1.300 inclusi in graduatorie di istituto, mentre si riducono a 1.214 quelli non presenti in alcuna graduatoria di supplenza.

Se i due obiettivi contestuali del ringiovanimento e della miglior qualità della classe insegnante possono essere condivisibili, non è detto che sia di per sé sufficiente a conseguirli lo strumento di un unico canale concorsuale (quello ordinario). Il ringiovanimento presuppone almeno qualche risposta a quanto accennato in precedenza sull’invecchiamento come inevitabile conseguenza all’uscita sempre più ritardata dal lavoro; la miglior qualità si persegue intrecciando il tema del reclutamento con quelli della formazione iniziale e in servizio. Non vi è alcuna esigenza, e i dati diffusi dal MIUR lo attestano in modo inequivocabile, di rimettere in discussione diritti e aspettative di chi si trova nelle graduatorie. Il loro esaurimento nel più breve tempo possibile non può costituire solo un auspicio, è un obiettivo da perseguire con determinazione attraverso scelte chiare di promozione e stabilizzazione del lavoro.

 

 

 

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