L’intervento con cui il leader Cisl ha aperto il congresso confederale di fronte a vertici istituzionali, politici e delle forze sociali.
E a 1.082 delegati in rappresentanza di oltre 4,5 milioni di lavoratori iscritti
Quattro anni fa, avevamo chiuso il nostro  XVI Congresso con la speranza di un nuovo clima nel paese, indicando un  metodo cooperativo, un esercizio di responsabilità, una solidarietà  positiva capaci di farci uscire dalla crisi. Tanta acqua è passata sotto  i ponti in questi quattro anni di grave recessione. Ma l'esigenza di  unità politica, di coesione sociale, di "responsabilità", di una tregua  tra le forze politiche per far fronte alle emergenze del paese, per noi  non è cambiata. 
 Con l'esito delle elezioni e sull'orlo  di una crisi istituzionale, grazie alla spinta forte esercitata dal  Presidente della Repubblica, si è aperta una fase nuova. Pensiamo che il  nuovo Governo politico di "larghe intese" sia l'unica alternativa al  "bipolarismo distruttivo", al populismo prorompente, di chi propaganda  la logica del tanto peggio, tanto meglio. 
 Ma la tenuta  del Governo dipende solo dalla efficacia della sua azione. Dai  risultati che saprà realizzare rispetto al lavoro e alla crescita.
 Solo se il Governo porterà risultati concreti alle persone, si potrà  rispondere anche all'astensionismo, alla pericolosa sfiducia che c'è  oggi nel paese nei confronti dei partiti e delle istituzioni. 
 I primi annunci e qualche atto del Governo Letta sono positivi,  soprattutto per il finanziamento per quest'anno della cassa in deroga e  per gli incentivi alle ristrutturazioni edilizie e per il risparmio  energetico. Ci auguriamo che la riunione di tutti i Ministri Europei del  lavoro possa determinare delle soluzioni forti e finalmente una svolta  nelle politiche contro la disoccupazione, soprattutto a favore dei  giovani. 
 Sappiamo bene che bisognerà attendere il  Consiglio Europeo di fine giugno per sapere se il prossimo anno ci sarà  una maggiore flessibilità per l'Italia nel rientro del deficit. Ma per  noi una cosa è chiara: per questo 2013 le risorse per gli interventi  urgenti dobbiamo trovarle all'interno dell'attuale bilancio. E diciamo  subito che le decisioni non potranno essere calate dall'alto, senza un  confronto sociale. Se il Governo pensa ad un "decreto del fare", noi  rispondiamo: bene. Ma facciamolo insieme! Anche per scongiurare gravi  errori, come più volte è accaduto in questi anni. E tutto ciò ad  iniziare dal mercato del lavoro, sul quale il governo deve esercitare  una saggia funzione di indirizzo e di coordinamento, lasciando però alle  parti sociali ed alla contrattazione la regolazione autonoma delle  materie del lavoro, proprio per evitare il lievitare di posizioni  ideologiche, presenti nella stessa maggioranza. Posizioni che oggi  risulterebbero "tossiche" nei confronti del lavoro italiano. 
 E' insomma inutile cambiare di nuovo le norme per legge. 
 Basta con questo "bipolarismo" esasperato anche sui temi del lavoro.
Il  confronto, con la condivisione delle responsabilità, è oggi ancora più  indispensabile e deve diventare una scelta "organica" di questo governo  se vuole consenso e sostegno delle parti sociali. 
Il Governo e le  forze politiche devono cogliere il clima nuovo che abbiamo saputo  costruire con il recente accordo sulla rappresentanza tra Cgil, Cisl Uil  e Confindustria. E nelle prossime settimane pensiamo di fare lo stesso  accordo anche con tutte le altre associazioni imprenditoriali. Abbiamo  compiuto, insomma, un passo che senza enfasi si può definire storico e  farà molto bene al lavoro italiano e all'intero Paese. E' stata data  forma ad un nuovo assetto delle relazioni industriali che valorizza  tutte le scelte di fondo compiute con coerenza dalla Cisl in questi  anni. Contribuendo al superamento della cultura antagonistica,  promuovendo la contrattazione aziendale e territoriale quali elementi di  maggiore coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte aziendali. Abbiamo  fatto molto ma dobbiamo fare ancora di più, azienda per azienda; i posti  di lavoro ed i salari più alti vengono da una buona economia. 
Dunque,  grazie al vissuto storico di questi anni, le parti sociali sono pronte a  fare la loro parte. Tocca ora al Governo e alle forze politiche  assumere le iniziative necessarie per far uscire il paese dalla crisi.
La  situazione economica e sociale è al limite del collasso. Nel 2012 quasi  un milione di famiglie hanno vissuto senza alcun reddito. La  disoccupazione ha raggiunto cifre agghiaccianti. La cassa integrazione  viaggia ormai sopra i cento milioni di ore mensili. Dobbiamo insistere  ancora di più nella diffusione dei contratti di solidarietà. Ma dobbiamo  trovare anche altre risorse per il finanziamento degli ammortizzatori  in deroga, per gli esodati, i non auto-sufficienti, i precari della  pubblica amministrazione e della scuola, i tantissimi giovani senza  lavoro. 
Per questo saremo a Piazza San Giovanni il prossimo sabato  22 giugno insieme a CGIL e UIL. Sarà una manifestazione di protesta ma  soprattutto di proposte. L'obiettivo che indichiamo è uno choc fiscale  finalmente positivo, un taglio forte delle tasse per rilanciare consumi e  investimenti. 
Insomma, bisogna confrontarci, discutere, trovare  soluzioni insieme. Questa è la strada giusta. Il Governo non ascolti le  sirene mediatiche, mosse dai poteri forti, che non vogliono ci sia una  discussione trasparente, anche sulle cose più piccole, pur di rifuggire  un metodo che potrebbe diventare pericoloso ed in grado di intercettare i  loro traffici nei sotterranei della Repubblica. 
Così come in  politica e nel sociale, nessuno coltivi la tentazione di scaricare sulla  finanza pubblica il peso delle scelte, come è accaduto nella stagione  del consociativismo definitivamente chiusa. 
Ora ciascuno deve  assumersi le proprie responsabilità, a tutti i livelli. Governo  centrale, governi locali, imprese, sindacati, banche, financo la  magistratura che deve esercitare il proprio ruolo in autonomia con  equilibrio e saggezza. 
Dunque, siamo disponibili a sostenere il  Governo su obiettivi condivisi di politica economica, sociale ed  istituzionale necessari all'Italia.
Affrontarli vuol dire trasformare l'Italia, liberarla dalla paralisi dei mille corporativismi. Questo è l'obiettivo della Cisl. 
La crisi morale, politica ed istituzionale del nostro Paese esige un impegno di responsabilità.
 Dobbiamo liberarci dallo sfrenato individualismo e dall'etica del liberismo finanziario. 
 In Italia il bipolarismo asfittico ed inconcludente di questi anni ha  messo in crisi la democrazia partecipativa. La politica è diventata una  reciproca, radicale delegittimazione dell'avversario di turno. Tutti  contro tutti. Spesso il suo surrogato è il populismo. Un populismo oggi  inspiegabilmente amplificato anche dal servizio pubblico televisivo e  dalla Rete che se non va censurata o imbrigliata, certamente va  regolamentata nel rispetto delle libertà di ciascuno. 
 Ma la politica deve sapersi misurare con i problemi concreti delle  persone e con la loro partecipazione. In questo modo, la politica deve  ritrovare le sue ragioni morali e diventare proposta e mediazione,  promuovere responsabilità, costruire consenso. 
 E' la  cultura, per noi quanto mai vitale, del popolarismo di Don Sturzo, del  personalismo cattolico di Dossetti e Moro, archiviati troppo in fretta  con la fine della prima Repubblica, con la resa al liberismo etico e  politico.
 Dobbiamo realizzare invece un nuovo equilibrio tra  capitale e lavoro, tra competitività e sviluppo sostenibile. Puntare ad  un nuovo umanesimo del lavoro.
Il lavoratore non è né capitale umano,  né risorsa del sistema produttivo: il lavoratore è una persona, per la  quale il lavoro è un bene fondamentale, per la creatività della sua  intelligenza e per la sua realizzazione personale, per la sua libertà e  responsabilità, per la costruzione della famiglia. Da tutto questo la  persona trae l'energia per l'apporto al bene comune. Ecco perché lo  sviluppo della democrazia economica rimane la nostra frontiera ideale e  concreta. Infatti, si riprenda il filo della discussione interrottosi in  Parlamento a novembre scorso, a causa della crisi, sullo sviluppo  dell'articolo 46 della Costituzione. La partecipazione dei lavoratori ai  destini complessivi dell'impresa è la via maestra per riformare oggi lo  stesso capitalismo. Un capitalismo finanziario che spesso degenera da  produttore a predone, con il conseguente progressivo impoverimento della  società. La questione centrale per noi è una riforma bancaria che  finalmente distingua le banche commerciali da quelle di investimenti.  Senza questa distinzione a prevalere sarà sempre l'interesse speculativo  su quello a favore dell'economia reale. Senza questa distinzione le  famiglie e le imprese non avranno accesso al credito. Anche per questa  ragione, stiamo promuovendo una legge di iniziativa popolare con la  nostra federazione dei bancari per mettere un tetto alle retribuzioni di  tutti i managers che, come si sa, hanno stipendi al sopra di ogni buon  senso e che traggono forza da cospicui incentivi provenienti proprio dal  trading.
 Ma bisogna riformare anche le istituzioni, secondo la  nostra proposta, lanciata all'inizio dell'anno, aprendo una vera "fase  costituente". Questa azione riformatrice, compreso le modalità più  opportune e trasparenti di finanziamento ai partiti, è la condizione per  favorire il risanamento, la diminuzione delle tasse e la trasparenza  rispetto ai costi della politica, agli sprechi ed alla corruzione.  Insomma, è il problema della credibilità della democrazia italiana.  Anche le parti sociali hanno pieno titolo a partecipare al processo di  riforma delle istituzioni. Senza nulla togliere al potere decisionale  del Parlamento.
 Noi siamo favorevoli all'autonomia delle regioni. Ma  c'è l'esigenza di riordinare questo federalismo pasticciato e  spendaccione e di riorganizzare il sistema delle istituzioni locali e  territoriali. Dobbiamo dare più incisività alle funzioni di indirizzo  del Governo, come avviene per esempio in Germania o in Inghilterra,  ridurre il numero dei parlamentari, superare il bicameralismo perfetto,  istituendo il Senato delle Regioni, con una riforma elettorale coerente,  che in ogni caso restituisca il potere di scelta dei rappresentanti ai  cittadini. 
 Nella riforma di Governo e Parlamento, che  devono assicurare stabilità ed efficienza, vanno comunque preservati gli  equilibri di una democrazia parlamentare, aperta alla valorizzazione  dei corpi intermedi. 
 E diciamo: Attenti! Attenti alle  scorciatoie, che non prevedono una soluzione equilibrata e bilanciata  dei vari poteri centrali. Un equilibrio che va ricercato tra poteri  centrali dello Stato e quelli locali, ma tenendo conto del ruolo  indispensabile della società civile organizzata. Siamo diffidenti verso  soluzioni che poggino esclusivamente sul rapporto diretto tra i massimi  vertici istituzionali e l'elettore.
 Sappiamo bene che c'è bisogno di  uno Stato efficiente. Ma la sussidiarietà è uno strumento che deve  avere pari dignità delle funzioni dello Stato, come forma importante di  autogoverno. 
 Le società evolute, complesse e moderne  esprimono oggi, attraverso la persona, una miriade di esigenze che le  istituzioni da sole, comunque, non riuscirebbero ad esaurire. Qualunque  sarà, insomma, la soluzione istituzionale che il Parlamento sceglierà,  occorreranno norme precise che salvaguardino il ruolo e la funzione dei  corpi sociali nel nostro paese. 
 Una funzione più  estesa ed istituzionale di queste forme sussidiarie è l'unica strada per  garantire e moltiplicare la responsabilità autorevole dei cittadini di  fronte alla cosa pubblica, svuotando il serbatoio sia del populismo che  del nichilismo. 
 Tuttavia, è chiaro che per cambiare l'Italia deve cambiare anche l'Europa. 
 La politica europea deve ritrovare governanti capaci di una visione, di  un progetto politico, come sono stati capaci di fare i padri fondatori.
 L'Europa dei vincoli e non anche della promozione, è vissuta sempre più  negativamente dai cittadini colpiti dall'impoverimento e dalla  disoccupazione, nei termini più gravi dell'emergenza. 
 Si diffondono sentimenti che vanno oltre l'euroscetticismo, con  l'affermarsi ovunque di partiti nazionalisti, xenofobi, antisistema,  populistici. 
 E' necessario ripartire, anche qui, dalla  politica. Le fondamenta sono: istituzioni democratiche, elette dai  cittadini, con sovranità nella politica fiscale, economica, finanziaria,  con finalmente una Banca Europea di ultima istanza.
 Il traguardo  deve essere la Federazione degli Stati Uniti d'Europa e l'unione  politica entro due anni. Solo così si promuove un'Europa della crescita e  dei cittadini e si può arginare il rischio di un crescente populismo  antieuropeista. La Cisl si batterà per questa prospettiva insieme a  tutti gli altri sindacati italiani ed europei. Così come continueremo a  porre con la Cis, il nostro sindacato internazionale, il tema di un  nuovo ordine mondiale in grado di regolamentare i mercati finanziari che  rimane il vero grande problema insoluto di questi anni di regressione  internazionale.
In Italia, dopo aver rimesso a posto i conti, ora  occorre una svolta nella politica economica. Solo con la crescita  diventerà governabile il problema del debito pubblico. 
 Il mito della "decrescita felice" non ci ha mai convinto se non per la  critica all'egemonia del dato economico sulla vita delle persone ed il  contrasto alla mercificazione della società. Ma è la crescita economica,  sostenibile e di qualità che produce ricchezza. 
 In  Italia senza un sistema industriale solido, diffuso ed innovativo c'è  solo il deserto. Senza industria non ci può essere uno sviluppo del  terziario. Non c'è alcuna possibilità di rimanere tra i paesi più  sviluppati a livello mondiale e continentale senza avere insediamenti  industriali in un modello di sviluppo compatibile, sul piano ambientale e  sociale. Ecco perché la prima cosa su cui intervenire è come rendere  favorevoli gli investimenti e come bonificare i fattori dello sviluppo,  territorio per territorio. Nessuno verrà ad investire in Italia se non  affronteremo il problema dei costi troppo alti dell'energia, dei  trasporti, delle assicurazioni, dello smaltimento dei rifiuti. Per non  parlare poi delle tasse locali e nazionali eccessive, delle  infrastrutture bloccate dalle lobbies, della giustizia civile troppo  lenta, di una pubblica amministrazione inefficiente, spesso in mano a  dirigenti politicizzati e spesso corrotti, e dei territori con alta  presenza delle mafie. Chi si occupa di tutto questo? Dalla Tav , al Mose  di Venezia, dalla discarica di Caivano a Napoli, passando per opere  meno famose come l'impianto fotovoltaico di San Miniato o il  termovalorizzatore di Cupello: sono 354 i progetti contestati solo nel  2013 in Italia. Questo è il vero problema italiano. Il problema italiano  è l'effetto Nimby! Ci sono troppi silenzi, troppe omissioni, una  cultura davvero sbagliata dello scarica barile. I diritti esistono dove  ci sono i doveri. Questo soprattutto ci ruba il futuro! 
 Il Paese ha bisogno di una vasta alleanza per superare tutti questi  ostacoli e per dare forza alla migliore classe dirigente che spesso si  sente impaurita ed impari di fronte all'accumulo così vasto di problemi e  resistenze. E' chiaro che serve anche una politica, ed un ruolo nuovo  dello Stato, che indirizzi il sistema produttivo su livelli più elevati  di qualità, puntando su investimenti innovativi e su un welfare di  qualità.
 Ci vogliono nuovi progetti, sinergie tra pubblico e  privato, la capacità di intercettare e rafforzare i meccanismi di  sviluppo locale, il coinvolgimento e l'appoggio del sistema finanziario. 
 Dobbiamo sostenere l'innovazione tecnologica, il nuovo rapporto  industria ambiente, lo sviluppo dell' economia verde e delle  biotecnologie. Possiamo fare di più per la valorizzazione dei nostri  beni culturali, per dare forza al turismo, alle nostre risorse  ambientali e agroalimentari, con interventi mirati sull' istruzione, la  ricerca pubblica e privata. 
 Queste politiche valgono per tutta Italia. Ed ancora di più per il Mezzogiorno, per lo stato pietoso della sua economia. 
 Una parte importante del Sud è ormai terra di nessuno. Anzi si può dire  che molte significative realtà meridionali, sono ancora terra di mafie,  di corruzioni, di clientelismi, di populismo. In questa situazione è  certo che nessuno verrà ad investire nel Mezzogiorno. 
 Non ci possiamo rassegnare ad ogni illegalità e ad ogni inefficienza:  dall'impiego della spesa pubblica per alimentare la corruzione, allo  scandalo di opere che non si completano mai o restano inutilizzate. Ci  sono 31 miliardi di fondi strutturali non spesi nelle regioni del Sud.  Una cifra enorme. Perché non utilizziamo una parte di questi soldi per  finanziare il credito d'imposta per i giovani disoccupati e le misure  per combattere la povertà, come il fondo per i non autosufficienti? 
 Ma ci domandiamo anche in questo contesto che senso ha inviare i nostri  militari all'estero, con un enorme prezzo di vite pagate e costi  esorbitanti, quando abbiamo ampie zone del Sud in mano alla criminalità  organizzata? Ci sono interi quartieri controllati dalla malavita  italiana e straniera. Non c'è sicurezza oggi nemmeno tra le mura di  casa. Un fenomeno davvero preoccupante che purtroppo si sta estendendo  anche a molte realtà urbane del centro e del nord. C'è un calo di  tensione pericoloso sul tema degli investimenti sulla sicurezza e  sull'ordine pubblico. Che cosa si aspetta a riformare radicalmente  l'operatività delle forze dell'ordine? Il lavoro, lo sviluppo e la  legalità devono arrivare insieme.
Così come sui salari non possiamo  andare avanti con un livello così basso, schiacciato da troppe tasse e  scarsa produttività di sistema.
 Bisogna ridurre il cuneo fiscale, che è tra i più elevati dei Paesi industriali. 
 Dobbiamo fare ogni sforzo per innescare con la contrattazione  decentrata in azienda e nel territorio, un rapporto positivo tra la  crescita della produttività e l'aumento delle retribuzioni. 
 La produttività, rispetto ai fattori interni all'impresa, si alza con  la qualità del prodotto, come dimostrano i settori trainanti delle  nostre esportazioni. Ed è necessaria una maggiore flessibilità del  lavoro per il pieno utilizzo degli impianti. Dobbiamo governarli insieme  e non dobbiamo sottrarci come sindacato a questa sfida. 
 Ma anche le imprese possono, anzi, devono fare di più. Basta con la  testa solo alla finanza, ai servizi monopolistici senza concorrenza e  dalle uova d'oro, ai giornali, alle televisioni, alle squadre di calcio.  Gli imprenditori italiani devono investire di più in ricerca e  sviluppo, cambiare i propri modelli organizzativi, puntando su nuove  tecnologie e sulla ricerca di nuovi prodotti. La politica deve premiare i  comportamenti delle imprese virtuose e penalizzare quelli deviati.  Purtroppo oggi la politica fa il contrario.
Anche sulla spesa pubblica dobbiamo essere chiari. Gli italiani pagano molte tasse ma hanno servizi pubblici scadenti e ridotti. 
 Ci sono apparati che servono solo alla politica che li esprime. Mi  riferisco alla pletora di istituzioni, enti, comitati, agenzie, inutili e  costosi. Una babele di poteri che sono all'origine, spesso, del blocco  delle decisioni. Ecco perché la spesa pubblica va invece profondamente  revisionata, con garanzia piena del rispetto della dignità dei  dipendenti pubblici e del loro utilizzo. 
 Ora il 60 %  della spesa pubblica per consumi è gestita dalle Amministrazioni locali.  Chi controlla questa spesa? Nessuno. Ad esempio, un organismo come la  CONSIP sarebbe certamente in grado di assicurare una gestione efficiente  e trasparente degli acquisti di tutti gli enti pubblici, in modo da  assicurare competitività nei prezzi. E perché questo non avviene?
 Siamo stanchi di leggere tante inchieste sui giornali sugli sprechi  pubblici e sulle ruberie senza che mai cambi niente. Il Governo deve  battere un colpo su questo tema, costringendo finalmente regioni ed enti  locali a cambiare questo perverso meccanismo della spesa. 
 C'è poi la questione dell'innovazione delle amministrazioni pubbliche.  Quanti ritardi, quante chiacchiere anche su questo tema. Dobbiamo  rimuovere le invadenze politiche che alimentano la struttura  clientelare. Basta con le resistenze corporative e con i poteri di  interdizione di una casta di tecnocrati. 
 I pubblici  dipendenti sono vittime proprio di questo sistema. Nessuno si è  preoccupato di investire su di loro per accrescerne le competenze e  aggiornare i loro strumenti di lavoro. Quanti uffici pubblici hanno la  banda larga? Quante ore di formazione obbligatorie si fanno realmente  negli uffici pubblici italiani? 
 Ecco perché chiediamo  che l'Accordo sulla produttività vada esteso anche al settore pubblico,  la cui efficienza e qualità sono decisive per la crescita economica e la  vita sociale. La contrattazione si può riattivare con i soldi delle mai  esaurite consulenze e con le differenze ingiustificate dei prezzi dei  prodotti acquistati con vari sprechi e ruberie che noi denunceremo,  posto per posto di lavoro. E' venuto il momento di applicare  concretamente, e lo diciamo al Ministro della Funzione Pubblica, la  norma che consente di utilizzare metà di queste risorse risparmiate e  recuperate, destinandole proprio alla contrattazione di secondo livello. 
 Nel triennio passato i dipendenti pubblici hanno perso l'8% netto di  salario. Non siamo disposti a tollerare che non sia erogato neppure  l'adeguamento all'IPCA dell'indennità di vacanza contrattuale.
 Il  Governo deve rivedere anche le retribuzioni troppo elevate dei  dirigenti. C'è una enorme differenza ormai tra lo stipendio di un  dirigente pubblico e quello di un impiegato. E' una cosa inaccettabile. 
 Tuttavia, la madre di tutte le battaglie, madre di tutti i nostri guai,  rimane per noi la questione fiscale. Bisogna ridurre le tasse sui  redditi da lavoro e pensione. Ma anche alle imprese che investono e  assumono i giovani e i disoccupati. Dobbiamo farlo subito per dare una  spinta forte all'economia ed ai consumi. Lo diciamo al Presidente del  Consiglio Letta e ai partiti che lo sostengono. E gli diciamo anche che  occorre introdurre anche un nuovo assegno familiare e il credito di  imposta per gli incapienti. 
 Le risorse possono venire  dalle "flessibilità" che l'Unione Europea deve concederci, dal risparmio  sugli interessi con la discesa dello spread e dalla riduzione delle  troppe agevolazioni fiscali e detrazioni senza alcuna finalità sociale.  Si devono anche tassare di più i grandi patrimoni immobiliari e  finanziari. E dobbiamo vendere il patrimonio del demanio pubblico. 
 Ma il Governo deve bloccare ulteriori aumenti delle tasse locali. Non è  possibile continuare così. Ci vuole finalmente un coordinamento tra  tassazione nazionale e locale. 
 Se si vuole evitare di  aumentare l'Iva, lo si faccia a condizione che non comporti altri  interventi che colpirebbero i più deboli, come su carburanti e affitti.  Non può diventare una partita di giro a danno dei lavoratori e dei  pensionati. 
 E poi bisogna fare di più sull'evasione ed  elusione fiscale. Da lì devono arrivare altre risorse per ridurre le  tasse. Dobbiamo sostenere gli sforzi dell'Agenzia delle Entrate  attraverso la tracciabilità, la riduzione del contante, il contrasto  d'interessi, il redditometro, per ottenere una verifica selettiva tra  reddito dichiarato e speso. 
 A tal proposito, è  preoccupante che ogni comune si faccia la propria agenzia affidando ai  privati la riscossione. E' un brutto segnale per la riorganizzazione che  si annuncia, ma soprattutto perché rappresenta una sfiducia chiara nei  confronti di Equitalia che per la prima volta nella storia d'Italia era  riuscita ad intimorire gli evasori. Infatti chi si lamenta? Si lamentano  proprio tutti coloro che hanno cominciato a pagare qualcosa al fisco. E  che cosa dovrebbero dire tutti quelli che hanno sempre pagato fino  all'ultimo centesimo? Non siamo d'accordo con questo clima sciatto e  deresponsabilizzante che i poteri centrali stanno assecondando, complice  il sistema politico. Dobbiamo, invece, incrementare le pene per gli  evasori. Le nostre leggi prevedono il reato penale da evasione e tra le  sanzioni anche il carcere, ma non hanno alcuna efficacia di dissuasione  soprattutto per i grandi evasori. I tempi sono lunghissimi e le  scappatoie tante. E non c'è alcuna certezza della pena. Troppa gente la  fa franca con il patteggiamento. Facciamo come in America: inaspriamo le  pene nei casi più gravi per l'entità dell'evasione ! Vediamo quanti  commercialisti consiglieranno ai propri clienti di sfidare il fisco! 
 Meno entrate fiscali, significa anche meno risorse per il welfare. Un  welfare che oggi va indubbiamente cambiato e sul quale anche il  sindacato ha rinunciato a contrattare nuove priorità e nuove misure di  tutela sociale. 
 Dobbiamo evitare gli errori del  passato ed essere propositivi. Oggi investiamo troppo in benefici  monetari e poco in servizi diversamente da tutti i paesi europei.  Dobbiamo garantire forme di protezione più estese rispetto ad oggi.
 Le famiglie devono essere sostenute in termini di servizi socio-sanitari  e di conciliazione con il lavoro, per evitare che sia la donna a  sostenere costi crescenti nella famiglia e sul lavoro. Altrimenti tra  poco nessuno avrà più figli nel nostro paese.
 Oggi dobbiamo fare i  conti anche con l'aumento della povertà. Ci sono situazioni drammatiche,  soprattutto nelle grandi aree metropolitane. 
 Dobbiamo  mettere in cantiere una forma generalizzata di protezione dalla  povertà. Pertanto insistiamo per una legge sulla non auto-sufficienza.  Cominciamo con lo stabilizzare le risorse del Fondo, anche utilizzando  quelle risparmiate nella sanità, con la revisione della spesa riferita a  fabbisogni e costi standard. 
 Nel 2014, lo ricordiamo,  scade il blocco in atto delle rivalutazioni delle pensioni. Nessuno  pensi di decidere alcunché senza un confronto preventivo con il  sindacato. Non possiamo tollerare la politica di due pesi e due misure.  Qualcuno deve spiegarci perché l'Alta Corte ha ritenuto incostituzionale  il taglio delle retribuzioni e delle pensioni dei super burocrati dello  stato che prendono centinaia di migliaia di euro all'anno. Ed è invece  normale non rivalutare al costo della vita le pensioni sopra le 1400  euro al mese. Lorde! Questo è uno scandalo! 
 E poi c'è  il problema degli esodati, per i quali va trovata una soluzione  definitiva, per evitare che ci siano lavoratori privilegiati ed altri  penalizzati. 
 Ma va reintrodotta una vera flessibilità  nell'accesso al pensionamento, anche perché non tutti i lavori sono  uguali. Un edile non è come un alto dirigente dello stato. Una maestra  d'asilo non è come un magistrato. 
 Discutiamone serenamente senza demagogia. 
 Noi crediamo che il nostro welfare debba restare universalistico. Ma non possiamo dare tutto a tutti.
 Sappiamo bene che è un terreno minato, difficile. Ma un grande  sindacato come la Cisl deve porsi questo tema in un momento di penuria  di risorse pubbliche. Le misure di protezione sociale vanno graduate  sulla base di criteri socio-sanitari, della situazione economica e  patrimoniale della famiglia attraverso la riforma dell'ISEE e una sua  generalizzata applicazione. 
 Noi vogliamo, insomma, un  welfare nuovo, rifondato sulla sussidiarietà sociale come prevede l'art.  118 della Costituzione. Un welfare sostenuto dalla contrattazione e dal  rafforzamento della bilateralità, con agevolazioni fiscali che  comprendano anche familiari e pensionati. Si possono creare anche forme  nuove di alleanza e di mutualità. 
 Questa sarà la nuova frontiera anche per il sindacato. 
 Ce lo chiedono anche i tanti immigrati che hanno bisogno di essere  tutelati, perché sono una ricchezza per il nostro paese. I tempi ormai  sono maturi per concedere anche il diritto di cittadinanza italiana a  tutti quei ragazzi nati e cresciuti in Italia da famiglie di immigrati  stabilmente residenti. Così come il diritto al voto amministrativo.  Continueremo a batterci per questo traguardo storico, insieme alle  nostre Federazioni, all' ANOLF, ai nostri enti che sono per gli  immigrati e le loro famiglie un' esperienza esemplare di integrazione  sul piano organizzativo, delle tutele contrattuali, dell'iniziativa  sociale. 
 Ma anche il sindacato deve cambiare molto. E'  un tema che abbiamo lasciato in fondo nella nostra relazione, perché è  il cuore del nostro congresso. In questi mesi la Cisl ha realizzato una  riforma organizzativa che è diventata un modello per tutto il paese.  Abbiamo accorpato quasi la metà delle unioni territoriali. Non è stata  una operazione facile, ma lo abbiamo fatto con piena concordia ed unità.  Le categorie si sono configurate con le nuove unioni territoriali senza  alcun problema. Ci saranno più donne in tutti gli organismi, più  immigrati, più giovani delegati di base. Avremo una direzione più  snella, i nostri sindacalisti si predisporranno meglio alla  contrattazione aziendale e territoriale. Il sindacato deve essere ancora  più di ieri nei territori e nei posti di lavoro. Cambia la Cisl, cambia  anche l'Italia. Niente più deleghe dal basso in attesa di risposte  dall'alto, ma organismi sindacali intermedi nei posti di lavoro e nel  territorio là dove devono maturare le risposte, con il protagonismo  diretto dei lavoratori e dei pensionati, uomini e donne del sindacato. 
 Solo la responsabilità diffusa è l'antidoto efficace alle tentazioni  populistiche e fa del sindacato un interlocutore ricercato e credibile. 
 I protagonisti per noi sono i nostri 65 mila delegati delle Sas, delle Rsa, e delle RSU.
 Li dobbiamo coinvolgere personalmente e da subito, dopo questo  congresso, con una formazione continua, in termini culturali e di  competenze nuove e diffuse per la contrattazione e la concertazione, con  la possibilità di condivisione delle loro esperienze concrete, con la  messa a disposizione di un sistema ben integrato di comunicazione  interattiva. 
 In questo modo contribuiremo a  ricostruire quelle relazioni virtuose, di partecipazione, che danno  speranza ed energia rispetto ad una situazione sociale tanto difficile e  per tanti motivo di disperazione. 
 Per questo,  proseguiremo nei prossimi mesi alla integrazione ed alla unificazione  delle categorie per nuove aree omogenee e lo faremo con la stessa  solerzia ed efficacia avuta nella unificazione delle unioni  territoriali. Lo faremo per rendere più forte la Cisl nella  contrattazione, per fare in modo che la sua idea costitutiva di  sindacato di sindacati sia vitale e feconda. Le nostre categorie hanno  ribadito nei loro Congressi la volontà di consolidarsi in questa  prospettiva. Insieme gestiremo questo processo con dedizione e  trasparenza. Con questo nuovo modello sindacale responsabile,  partecipativo e popolare dobbiamo ritrovare anche maggiore  collaborazione con Cgil e Uil. Siamo convinti che un nuovo modello  sindacale autonomo e capillarmente radicato, aiuterà anche le realtà  politiche a carattere popolare perché potranno cogliere dalla vitalità  dei corpi intermedi spunti e forza per dare un senso alla nostra  democrazia. 
 Noi vogliamo una Italia più sana, più  equa, dove tutti paghino le tasse in modo tale che tutti ne paghino  meno. Vogliamo una Italia pulita, onesta, rinnovata nelle istituzioni,  con più donne nei ruoli chiave, dove ogni persona di qualsiasi  provenienza, colore, convinzione ed identità, abbia le stesse  opportunità, gli stessi diritti e gli stessi doveri. Una Italia dove non  ci sia più bisogno della magistratura per cambiare la classe dirigente.  Vogliamo una Italia dove i giovani possano vivere e contribuire alla  sua crescita. Così come gli anziani da considerare per quello che hanno  dato e per la ricchezza di esperienza che possono trasmettere ed  esprimere. Una Italia dove ci sia piena armonia tra scuola e lavoro e  dove si rispetti il ruolo degli insegnanti. Vogliamo una Italia che  sappia utilizzare bene l'occasione dell'Expo, una sfida economica e  morale per tutto il Paese, per rilanciare i nostri prodotti e la nostra  immagine nel mondo. Una Italia con una Rai liberata finalmente  dall'interferenza dei partiti, con meno conduttori miliardari, con meno  conduttori politicizzati e più informazione asettica, molta più cultura,  più formazione per il nostro paese.
 Vogliamo una Italia che  protegga e valorizzi le nostre città, le nostre coste, i nostri beni  culturali, il nostro verde pubblico. Una Italia dove non ci sia più  violenza contro le donne. Vogliamo una Italia dove, come ha detto Papa  Francesco "il vero potere è il servizio". 
 Questa è l'Italia che sogna la Cisl! 
 E dipende da ciascuno e da tutti. Sappiamo che se ognuno cambia se  stesso, cambia l'Italia. E' davvero bella la esortazione di un grande  sacerdote, a me molto caro, Don Primo Mazzolari. Una esortazione scritta  in un tempo molto tormentato per l'Italia, che richiedeva uno sforzo  eccezionale di ciascuno e di tutti. Una situazione molto simile ai tempi  che oggi stiamo vivendo. 
 Mazzolari ci indica proprio la strada da seguire: 
 "Mi impegno senza giudicare, accusare, condannare chi non si impegna.  Mi impegno anche se gli altri non si impegnano. Mi impegno perché il  mondo cambia se ognuno cambia se stesso. La primavera incomincia con il  primo fiore. La notte con la prima stella. Il fiume con la prima goccia  d'acqua".
 
											
 
						 
						 
						 
						 
						 
						 
						 
						 
						 
						 
						 
						 
						 
						 
						